C’è qualcosa di profondamente narrativo nel modo in cui Herbert Schuch affronta la tastiera: non suona semplicemente la musica, la racconta. Nato a Timișoara, in Romania e cresciuto in Germania, porta con sé un’eredità culturale stratificata che affiora nelle sue interpretazioni ricche di colore, profondità e intuizione. Allievo di Karl-Heinz Kämmerling e di Alfred Brendel – che di lui ha parlato come di un artista che pensa con profondità e sente con intensità – Schuch ha sviluppato uno stile personale che unisce rigore e immaginazione. I suoi programmi intrecciano repertori classici con composizioni del Novecento o contemporanee, creando percorsi di ascolto sorprendenti e rivelatori. La sua carriera è costellata di premi prestigiosi, ma è nei concerti dal vivo che la sua arte si rivela pienamente: Schuch ha il raro dono di rendere ogni esecuzione un evento irripetibile. Memorabile la sua interpretazione del Concerto in Sol di Ravel con i Wiener Philharmoniker al Festival di Salisburgo: un momento di pura poesia, sospeso e delicato. Fuori dal palcoscenico è attivo nel sociale, sostenendo progetti di educazione musicale per giovani rifugiati in Germania, convinto che la musica possa davvero creare ponti e ricucire fratture.